A otto anni la piccola Marika è fieramente scettica. «Se una cosa non si può vedere, io non ci credo», ripete. Le compagne cercano di confutare la sua tesi, alzando la mano e fremendo per prendere la parola. «E l'aria? E il vento?», si chiedono, «non si vedono, però esistono». «È vero», ammette Marika, serissima, «però l'aria la puoi sentire sulla pelle, se è fredda». «E le previsioni del tempo?», ribatte Sharon, che è entusiasta per natura, «se ti dicono che domani ci sarà il sole, tu ci credi, anche se ora non puoi vedere il sole, e non puoi sentirlo sulla pelle». «Sì, certo», replica la bambina scettica, «posso credere al meteo in tv, perché il sole l'ho visto tante volte e allora ci credo. Ma se mi dicono: domani ci sarà la fine del mondo, io dico che è una bugia». «E allora non esistono le molecole?», si intromette Roberta, che parla pacatamente e ha fiducia in tutto quello che raccontano i più esperti: «non le ho mai viste, però la maestra, quando le ha spiegate, era così convinta, e non credo che vuole ingannarci». «Io credo che se tutti parlano di una cosa, allora quella cosa sicuramente esiste», ipotizza un'altra delle loro compagne. Ma Marika non ci sta: «allora se ci mettiamo tutti d'accordo, e ti raccontiamo che per strada c'è un maiale con il rossetto, tu ci credi che esiste?». «Ci vogliono delle prove!», azzarda una voce nel coro, «come le ossa nei musei, che ci dicono che i dinosauri esistevano, anche se non possiamo vederli». E allora cos'è la verità? E come si dimostra l'esistenza delle cose? A cimentarsi in questo impegnativo dibattito epistemologico (parte del quale abbiamo trascritto fedelmente), erano, l'altra sera, le alunne della scuola elementare Ilaria Alpi di Scampia. Ospiti della Fnac, al Vomero, dieci bambine di terza e quarta elementare hanno dato vita a una sessione di Philosophy for Children, il metodo educativo ideato negli anni Settanta dal pedagogista americano Matthew Lipman. Lo scopo è avviare i bambini all'indagine filosofica. Il metodo dimostra infatti che, se sono stimolati in maniera appropriata, i più piccoli mostrano capacità logiche sorprendenti, indipendentemente dal contesto culturale da cui provengono. A coordinare i piccoli filosofi nel megastore di via Luca Giordano, c'era Maura Striano, pedagogista della Federico II: «queste bambine hanno già una certa esperienza del metodo», ci ha spiegato, «ma comunque non è difficile arrivare a questi risultati così evidenti». In effetti, fa una certa impressione vedere queste creature meno che adolescenti giocare con i mattoni del pensiero, e in pochi minuti costruire una discussione forse più illuminante di molti seriosi battibecchi tra adulti. In Campania, P4C (così il metodo è conosciuto tra i cultori) debuttò dieci anni fa proprio a Scampia, e oggi si sta diffondendo nelle scuole della regione, che non di rado decidono di includerlo nelle loro attività formative. Tanto che la Federico II ha attivato un corso di formazione per insegnanti, o comunque laureati di svariate discipline, che intendono diventare “facilitatori” (così sono indicati i coordinatori delle sessioni di P4C: per informazioni p4c.unina.it). D'altronde, è a Napoli, grazie a Liguori, che vengono pubblicate le traduzioni in italiano dei testi di Lipman, fiabe filosofiche che servono da stimolo di partenza per gli interrogativi dei bambini. Liguori, poi, ha da poco pubblicato testi di P4C scritti da autori italiani, secondo i criteri tracciati dal pedagogista statunitense. Philosophy for Children, infatti, è riconosciuto dall'Unesco, e strutturato secondo le indicazioni di un istituto internazionale (l'Institute for the Advancement of Philosophy for Children). È indicato per bambini dai cinque anni in su. «Una delle caratteristiche di questo metodo», spiega la Striano, «è che non offre delle risposte agli interrogativi dei bambini. Piuttosto, mira a far emergere in loro gli strumenti logici, affinché possano costruirsi le loro risposte». Un metodo di certo molto moderno, ma forse altrettanto antico, almeno quanto Socrate.